SE SCAPPI, TI PAGO. SMART WORKING E RIPOPOLAZIONE DEI PICCOLI CENTRI URBANI

Smart Working

Immaginate di ricevere tanti-tanti euro e per tanto-tempo, dietro l’offerta di trasferirvi armi e bagagli a Matera. O anche a Orvieto, Senigallia, Caorle, Frascati, insomma in piccoli centri,  lontani – un bel po’ lontani- dalla vostra città. Regole di ingaggio da smart working: essere o diventare smart workers o se preferite, lavoratori da remoto, e poi integrarvi con la popolazione, anzi creare voi stessi la popolazione! Curioso, vero?

Eppure tempo addietro qualcosa di simile si era già sentito, con quelle strane proposte dei sindaci dei comuni più piccoli del profondo sud Italia, che invitavano ad andare ad abitarli al costo (per l’acquisto della casa) ad euro. Si, proprio cosi, il Comune ti dava il titolo di possesso di una abitazione per 1 solo euro proprio per invogliarti a venire, comprare e risiedere in modo permanente nel paesino prescelto. In breve, l’intento era ri-popolare cittàdine morte, spopolate dall’emigrazione feroce, dalle ferite inferte dai terremoti o inondazioni oppure semplicemente dalla mancanza di economia e di lavoro sul territorio. Lo scopo dei sindaci, per quanto potessimo considerarli benefattori umanisti era di stampo prettamente economico: recuperare gli immobili che rischiavano di diventare delle catapecchie abbandonate, di ridargli valore economico e reintegrarli sul mercato.

La prima fu Lecce nei Marsi, paesino della provincia de l’Aquila, ne seguirono poi altre, tutte accomunate da queste esigenze sopradescritte. Una cosa simile si rivede oggi negli States, prima di Trump ora di Biden:  la domanda di mobilità forzata l’ha creata, neanche a dirlo, il Covid e la  necessità di tecnologia da remoto correlata ad esso. La pandemia in atto infatti ha portato quasi ad un’azione quasi forzata allo smart working ,

Diciamo meglio: ehi americano, se devi lavorare da remoto, perché il Covid non ti manda più in ufficio da molto tempo e chissà per quanto altro tempo ancora non potrai accedere alla tua cara vecchia sede di lavoro, vieni da noi a Tulsa, ex ridente cittadina dello stato di Oklahoma, e in cambio ti daremo ben 10mila dollari più una card gratuita per l’accesso a uno spazio di co-working. Le nostre engagement rules saranno solo queste: devi lavorare a distanza e venire a vivere qui a Tulsa almeno per un anno.

Questo programma dove al centro c’è lo smart working si chiama  Kaiser Family Foundation, che lo ha lanciato nel 2018, quindi prima della pandemia e lo finanzia con successo visto il picco di richieste pervenute: 400 americans si sono trasferiti negli ultimi due anni, e altri 100 sono pronti a farlo ora. Non a caso, sullo smart working , aveva ragione l’urbanista R. Florida quando nel 2006 diceva a Out & Equal Workplace che il progetto poteva diventare un possibile esempio di come le piccole città americane potevano approfittare della diffusione del lavoro a distanza, proprio per attirare professionisti intenzionati a lasciare le costose metropoli della costa. Il riferimento era a New York e San Francisco.

Oggi è realtà e tra smart working e lavoro a distanza, gli americani da sempre arrivano prima sulle cose e, con questo progetto, hanno anche trovato il modo di creare maggiore diversità culturale in città,  attirando residenti di diverse etnie e con background di studio differenti.  Insomma, Tulsa non sarà diventata oggi Amsterdam ma lancia un esempio importante anche in Italia, che potrebbe fortemente dare impulso al progetto verso i paesini del meridione ripopolandoli di giovani e meno giovani lavoratori che lavorano in smart working , costretti oggi nelle loro piccole stanze adattate a mini-uffici h24, a proseguire il lavoro da remoto in città, grandi e con poco senso.

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